sabato 5 dicembre 2009

La grande esperienza rinascimentale

Introduzione.

LA GRANDE ESPERIENZA RINASCIMENTALE

La splendente stagione letteraria dell’età elisabettiana ha un importante precedente nella fervida vita culturale del periodo della corte di Enrico VIII (1509-1547), il quale accolse svariati nuovi poeti, ai quali si richiedeva di rappresentare la storia, la legittimità del potere e la grandezza della monarchia inglese. La figlia di Enrico, Elisabetta I, svolse un preciso programma culturale inteso a far primeggiare le arti e le lettere del suo paese nell’Europa rinascimentale.
I due grandi innovatori della lirica rinascimentale furono Philip Sidney ed Edmund Spenser, gentiluomini alla corte di Elisabetta I. Perfetta incarnazione del modello rinascimentale del cortigiano, Sidney combinò l’esercizio della politica e della diplomazia con lo studio e gli interessi culturali. La sua opera maggiore è una raccolta di sonetti, Astrofel e Stella, scritta nel 1582 e pubblicata postuma nel 1591. L’opera, che rappresenta il primo esempio inglese di canzoniere amoroso sul modello petrarchesco, è fortemente condizionata dal platonismo e dall’idealizzazione dell’amore tipica dei romanzi cavallereschi medievali. Il monumento più alto di idealismo, che, si ispirava soprattutto ai grandi autori del Rinascimento italiano, fu La regina delle fate di Spenser, pubblicata fra il 1590 e il 1609. Si tratta di un poema allegorico ed epico, in cui si fondono precetti morali e celebrazione delle virtù cortigiane. Dedicata a Elisabetta, l’opera recupera temi ed elementi stilistici della tradizione cavalleresca medievale per foggiare un’epica nazionale in grado di rivaleggiare con i capolavori della classicità e della letteratura italiana cinquecentesca. L’opera che più influenzò Spenser fu l’Orlando furioso di Ludovico Ariosto. Lo stile ricco ed elaborato di Spenser, forgiò il gusto poetico del primo Seicento. Contemporanea, e fortemente segnata dal concettismo che caratterizza fin dall’inizio il Rinascimento inglese, è la poesia di John Donne e degli altri poeti “metafisici”, così definiti da John Dryden, che criticava lo stile cerebrale con il quale venivano espressi, nella loro poesia, i sentimenti. Questo elaboratissimo stile venne usato sia nella poesia amorosa (John Donne e Andrew Marvell) che nella manifestazione del sentimento e dell’emozione religiosa (George Herbert, Henry Vaughan e Richard Crashaw).
Nel tardo Rinascimento si sviluppò un diverso orientamento poetico, rappresentato dalla scuola di Ben Jonson e caratterizzato dal rispetto dei canoni classici oltre che da uno stile sobrio ed equilibrato.
L’ultimo grande poeta del Rinascimento inglese fu il puritano John Milton, che nella sua opera cercò di coniugare l’eredità culturale del mondo classico con i principi religiosi della Riforma protestante.
Milton, come Spenser, concepiva il poeta come grande precettore dell’umanità, ma rifiutava l’apparato fantastico della mitologia classica o dell’epica medievale, preferendo invece i temi legati alla tradizione biblica e cristiana. Nel suo celebre poema Paradiso perduto (1667) narrò con linguaggio sofisticato, solenne e immaginoso gli inganni di Satana, il peccato e la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, con lo scopo di illustrare le fondamentali nozioni cristiane di libertà, peccato e redenzione.
Fu, però, la produzione teatrale a dare i massimi contributi alla letteratura inglese. L’incontro di forme tradizionali di spettacolo popolare con un filone rinascimentale colto, influenzato soprattutto dal teatro di Seneca, consentì alla drammaturgia elisabettiana e giacomiana di svilupparsi in una miriade di opere e in un’ampia varietà di forme dal 1580 al 1642, anno in cui i teatri londinesi vennero chiusi per ordine del Parlamento puritano. L’utilizzazione di Seneca come modello, determinata dalla necessità di conciliare le influenze classiche della civiltà cortese con il gusto del sensazionalismo che il pubblico popolare delle città esigeva, è evidente nella Tragedia spagnola (composta presumibilmente nel decennio 1582-1592) di Thomas Kyd. Pochi anni dopo, Christopher Marlowe inaugurò la tradizione della cronaca drammatica delle fatali gesta di sovrani e governanti nelle tragedie Tamerlano il Grande (scritto nel 1587-88) e Edoardo II (1591 o 1592), mentre in Doctor Faustus (1588 o 1592) e L’ebreo di Malta (1589) mise in scena la drammatica lotta di grandi personaggi contro i limiti assegnati all’uomo dall’etica cristiana medievale.
L’opera di Marlowe influenzò profondamente la formazione teatrale di William Shakespeare, con il quale la tragedia e la commedia dell’età elisabettiana raggiunsero la più completa maturazione. Ricchezza stilistica, complessità tematica e profondità di analisi tanto delle vicende storiche quanto delle debolezze e grandezze umane contribuirono alla straordinaria fama dell’opera di Shakespeare.
La miriade di libelli, cronache di viaggi e prose narrative che si diffusero tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento è espressione di un fermento culturale che preludeva all’evoluzione letteraria portata a compimento nel secolo seguente. Un evento di straordinario rilievo culturale fu la pubblicazione nel 1611 della prima traduzione inglese della Bibbia, che da quel momento in poi avrebbe influenzato con il suo vocabolario, le sue immagini e il suo ritmo narrativo la prosa inglese.

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