domenica 6 dicembre 2009

Il novecento inglese

IL NOVECENTO
Due conflitti mondiali, una grave depressione economica e il clima di austerità che segnò il secondo dopoguerra aiutano a spiegare le tendenze della letteratura inglese nel XX secolo. I numerosi scrittori che subirono la crisi successiva alla prima guerra mondiale cominciarono a mettere in discussione i valori tradizionali della civiltà occidentale, e sperimentarono inedite forme letterarie in grado di fornire strumenti per esprimere nuove esperienze collettive oppure nuovi aspetti della sensibilità individuale.
Scritti negli anni precedenti la prima guerra mondiale, i primi romanzi di Edward Morgan Forster (Camera con vista, 1908; Casa Howard, 1910) mostrarono le fratture dell’edificio sociale su cui si reggeva la vita dell’alta borghesia intellettuale. Alle convenzioni tanto oppressive da soffocare l’individualità, Forster contrappose una fiducia semplice e intuitiva negli impulsi più profondi dell’istinto. Nel suo romanzo più famoso, Passaggio in India (1924), unì questi temi a un’analisi della distanza sociale che separava in India la classe dirigente inglese da un contatto autentico con i nativi. Anche nei romanzi di David Herbert Lawrence (Figli e amanti, 1913; Donne innamorate, 1921; L’amante di Lady Chatterley, 1928) si ritrova il desiderio di sfuggire agli artifici, all’eccessivo intellettualismo e al freddo materialismo del mondo moderno, per tornare alle radici primordiali e inconsce della vita.
Radicale nella sperimentazione di nuove modalità formali fu lo scrittore irlandese James Joyce, che nel romanzo Ulisse (1922) adottò le unità aristoteliche di tempo (una sola giornata) e di luogo (Dublino) per descrivere le gesta di personaggi comuni dotati di risonanze mitiche, all’interno di una struttura archetipa ispirata all’Odissea di Omero. Con Finnegans Wake (1939) Joyce si spinse oltre, creando un linguaggio così articolato e complesso da trasformarsi in un gigantesco gioco di parole che riecheggia tutti gli idiomi del mondo. L’altra grande figura dello sperimentalismo nell’ambito della tecnica narrativa fu, in quegli stessi anni, Virginia Woolf, che dopo aver superato le tecniche tradizionali si affidò nei suoi romanzi (La signora Dalloway, 1925; Gita al faro, 1927; Le onde, 1931) alla forma libera e mobile dello stream of consciousness (“flusso di coscienza”), già utilizzata da Joyce. Con uno stile definito “puntinismo lirico” (il richiamo è alla tecnica puntinista in pittura), la prosa woolfiana riesce a rendere, in immagini vivide e straordinariamente fantasiose, la multiforme essenza del pensiero, la percezione del mondo, l’intensità aerea e sfuggente dell’attimo che si trasforma in momento di visione nello scorrere opaco del tempo.
Significativi quanto difficilmente collegabili a precise scuole letterarie sono autori come Ivy Compton-Burnett, Evelyn Waugh e Graham Greene. La conflittualità ideologica degli anni Trenta e Quaranta, infine, trova voce soprattutto nell’opera di George Orwell, che nelle sue allegorie (La fattoria degli animali, 1945) e nelle sue satire (1984, 1949) denunciò gli orrori del totalitarismo.
Poche tendenze definibili sono emerse nella narrativa inglese dal dopoguerra a oggi, se si esclude il gruppo dei “giovani arrabbiati” degli anni Cinquanta e Sessanta: Kingsley Amis, John Wain, John Braine e Alan Sillitoe. Alla formulazione del cliché del “giovane arrabbiato” contribuì il romanzo Sotto la rete (1954) di Iris Murdoch, autrice di numerosi testi narrativi, fra cui Una testa tagliata (1961).
Altri scrittori di talento sono stati Anthony Burgess, celebre soprattutto per la dura rappresentazione della violenza giovanile in Un’arancia a orologeria (1962), da cui fu tratto il celebre film Arancia meccanica, diretto da Stanley Kubrick; John Le Carré, autore di popolari e complessi romanzi di spionaggio quali La spia che venne dal freddo (1963), Casa Russia (1989), Direttore di notte (1993); William Golding, che si cimentò nella sperimentazione delle forme narrative per offrire lucide indagini sulla coscienza morale e sociale. L’opera più celebre di Golding è Il signore delle mosche (1954), portato sullo schermo da Peter Brook nel 1963. Di grande interesse è anche l’opera narrativa di Doris Lessing, che dagli iniziali Racconti africani (1951) passò a romanzi sempre più complessi e articolati che analizzano il ruolo della donna nella società contemporanea (Il taccuino d’oro, 1962). Fra gli autori emersi nel dopoguerra e attivi fra gli anni Sessanta e Settanta sono da segnalare anche John Fowles, autore di La donna del tenente francese (1969), Angus Wilson e Muriel Spark.
Una cupa visione della realtà caratterizza molti romanzi degli anni Ottanta, sempre più concentrati sulla rappresentazione dell’ambizione e dell’individualismo dominanti nella società capitalistica. Uno degli autori più imitati della sua generazione, Martin Amis, figlio di Kingsley Amis, dà vita a feroci satire animate da personaggi grotteschi e caricaturali (Successo, 1978; Denaro, 1984). Analogo pessimismo si ritrova nei romanzi di Ian McEwan, che narrano spesso vicende di perversione e depravazione.
Una forte componente femminista è presente nei romanzi di Angela Carter, mentre un’accurata indagine critica dei valori che contraddistinguono la cultura inglese viene svolta da uno scrittore di origine giapponese, Ishiguro Kazuo (Quel che resta del giorno, 1989). Da ricordare sono anche le opere di una serie di accademici di professione che affiancano all’insegnamento e all’attività critica quella di narratori: i campus novels (romanzi di ambiente universitario) di David Lodge (a lui si deve anche l’importante saggio intitolato L’arte della narrazione, 1966) e di Malcolm Bradbury, i romanzi incentrati su tematiche femminili delle sorelle Margaret Drabble e Antonia Byatt. Peter Ackroyd, autore anche di importanti biografie di scrittori quali Ezra Pound (1980) e Dickens (1990), ha invece ripreso la tradizione del romanzo storico. Interessante è anche l’avvento di una narrativa che affronta i temi culturali legati all’omosessualità (Jeanette Winterson, Alan Hollinghurst e Adam Mars Jones).
Notevoli sono i contributi alla narrativa anglofona giunti dagli scrittori delle ex colonie britanniche, che hanno esplorato da prospettive diverse il passato coloniale e il suo retaggio nella realtà sociale dei loro paesi: in questo senso, gli scrittori più significativi sono, oltre a V.S. Naipaul che cominciò a scrivere negli anni Cinquanta, Ruth Prawer Jhabvala e soprattutto Salman Rushdie, tutti di origine indiana.
Due dei maggiori poeti moderni sono emblematici della ricerca di un equilibrio armonico fra innovazione e tradizione. L’irlandese William Butler Yeats trasse spunto inizialmente dall’antico folclore irlandese, sviluppando un ricco linguaggio poetico di cui è un esempio significativo il poema La torre (1928). Thomas Stearns Eliot, nato negli Stati Uniti, raggiunse la celebrità con il poema La terra desolata (1922). Grazie a multiformi richiami simbolici alla storia e alla tradizione, Eliot espresse la disillusione e il senso di tragica sterilità che gli intellettuali avvertivano nell’epoca compresa fra le due guerre. Fondamentali sono anche le opere successive del poeta, che testimoniano il suo percorso spirituale verso la riconquista della fede religiosa.
Notevolissima fu l’opera di Gerard Manley Hopkins, poeta vittoriano la cui opera venne pubblicata postuma soltanto a partire dal 1918, influenzando le sperimentazioni stilistiche e metriche di intere generazioni. Testimoni degli orrori della prima guerra mondiale sono poeti come Siegfried Sassoon, Wilfred Owen e Robert Graves. Appartengono a una generazione successiva Wystan Hugh Auden, Stephen Spender e Cecil Day-Lewis, accomunati dall’impegno sociale e politico quanto dall’opposizione ai miti della società borghese e ai nascenti totalitarismi. Ai vertici dello sperimentalismo si colloca l’esuberante e visionaria poesia del gallese Dylan Thomas, la cui morte, nel 1953, segnò il momento di passaggio verso una nuova generazione di poeti. Figure di rilievo in quest’ambito sono state Philip Larkin, Kingsley Amis, Thomas Gunn e Ted Hughes, che appartennero al gruppo poetico chiamato The Movement; a loro si contrapposero i poeti degli anni Sessanta – Adrian Henry, Roger McGough, Brian Patten e Adrian Mitchell – che, influenzati dalla Beat Generation americana, predilessero ritmi più liberi e temi più impegnati.
A partire dagli anni Settanta hanno dato importanti contributi i poeti nordirlandesi Paul Muldoon, Tom Paulin e soprattutto Seamus Heaney, che nel 1995 venne insignito del premio Nobel per la letteratura.
La produzione teatrale del primo Novecento annovera, accanto alle ultime opere di George Bernard Shaw, quelle di un altro irlandese, Sean O’Casey, interprete, insieme a Yeats, del “rinascimento celtico”. Altri autori di rilievo nella drammaturgia di inizio secolo furono James Matthew Barrie, autore di Peter Pan (1904), John Galsworthy e William Somerset Maugham, oggi noti soprattutto come narratori.
Negli anni Cinquanta, il gruppo degli “arrabbiati” conferì una forza nuova al teatro inglese. Drammaturghi come John Osborne, Arnold Wesker e John Arden si concentrarono sulla rappresentazione delle classi operaie, denunciandone la miseria, la mediocrità e l’esigenza di riscatto sociale. Personalità significative furono anche quelle dell’irlandese Brendan Behan e di Harold Pinter, autore di opere che danno voce al disagio e alle nevrosi dell’uomo contemporaneo. Grande ispiratore di Pinter è uno dei più significativi autori del teatro novecentesco, Samuel Beckett (di origine irlandese ma a lungo residente in Francia), tragico e sarcastico interprete del nichilismo in capolavori quali Aspettando Godot (1952) e Giorni felici (1963).
Vanno segnalate, infine, le opere di Joe Orton e quelle di Tom Stoppard. Quest’ultimo è l’autore della commedia surreale Rosencrantz e Guildenstern sono morti (1966), che Stoppard stesso portò sugli schermi nel 1990.

Autore rappresentativo: James Joyce

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